I criteri di individuazione dello status di esportatore abituale

L’art. 8, co. 1, lett. c), e 2, D.P.R. 633/1972 riconosce al soggetto passivo Iva qualificabile come “esportatore abituale” di richiedere al cedente di beni o prestatore di servizi di non applicare l’imposta sull’operazione di acquisto, ovvero in dogana nel caso di importazione. Tale manifestazione di volontà, circoscritta all’ammontare delle operazioni con l’estero non imponibile effettuate nell’anno solare precedente (c.d. plafond fisso) o nei 12 mesi precedenti (c.d. plafond mobile), deve essere comunicata preventivamente all’Agenzia delle Entrate, trasmettendo poi al fornitore la dichiarazione d’intento e la relativa ricevuta rilasciata dall’Amministrazione Finanziaria. Il cedente o prestatore deve, infine, riscontrare telematicamente tale ricevuta, prima di procedere alla fatturazione dell’operazione senza Iva.
Sotto il profilo soggettivo, l’art. 1, co. 1, lett. a), D.L. 746/1983 riconosce la qualificazione di esportatore abituale al soggetto che soddisfa una specifica condizione: l’ammontare dei corrispettivi delle cessioni all’esportazione di cui alle lett. a) e b) della medesima norma, di quelle assimilate e delle cessioni intracomunitarie effettuate, registrate nell’anno precedente, deve essere superiore al 10% del volume d’affari determinato ai sensi dell’art. 20 del Decreto Iva, senza tenere conto, ad esempio, delle cessioni di beni in transito o depositati nei luoghi soggetti a vigilanza doganale, nonché delle operazioni di cui all’art. 21, co. 6-bis, D.P.R. 633/1972:
a) cessioni di beni e prestazioni di servizi – diverse da quelle finanziarie esenti di cui al precedente art. 10, nn. 1)-4) e 9) – effettuate nei confronti di un soggetto passivo debitore dell’imposta in un altro Stato comunitario;
b) cessioni di beni e prestazioni di servizi che si considerano effettuate al di fuori dell’Unione Europea.
Ai fini della verifica dello status di “esportatore abituale”, non rilevano, quindi, le fattispecie di seguito riportate, ancorchè qualificabili come “operazioni non imponibili”, collegate ai rapporti con l’estero:
cessioni ad esportatori abituali, in base a dichiarazione d’intento (artt. 8, co. 1, lett. c), 8-bis, co. 2, e 9, co. 2, D.P.R. 633/1972);
• vendite a viaggiatori residenti al di fuori del territorio comunitario (art. 38-quater, co. 1, D.P.R. 633/1972);
• alienazioni di beni in transito o depositati in luoghi soggetti a vigilanza doganale (art. 7-bis, D.P.R. 633/1972);
prestazioni di servizi escluse non soggette ad Iva, in quanto rese a soggetti passivi stabiliti in altri Stati (artt. 7-ter, 7-quater e 7-quinquies, D.P.R. 633/1972);
• cessioni di beni nei depositi fiscali autorizzati, qualora la successiva estrazione non costituisca cessione intracomunitaria od esportazione (art. 50-bis, D.L. 331/1993);
• vendite ad organismi dello Stato per cooperazione (D.M. 379/1988);
• servizi delle agenzie di viaggio, per tratte al di fuori del territorio comunitario (art. 74-ter, co. 6, D.P.R. 633/1972).
Qualora una delle operazioni determinanti il suddetto “plafond” venga meno, anche soltanto in parte, nel successivo esercizio, la relativa nota di variazione Iva – emessa ai sensi dell’art. 26, co. 2 e 3, D.P.R. 633/1972 – non produce alcun effetto sul plafond maturato dall’esportatore abituale nell’anno solare precedente (o nei passati dodici mesi). L’art. 2, co. 2, Legge 28/1997 si limita, infatti, a stabilire che costui può effettuare acquisti di beni (diversi dai fabbricati e dalle aree edificabili) e di servizi, nonché importazioni, senza pagamento dell’imposta, per ciascun anno, nel limite dell’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi di cui agli artt. 8, co. 1, lett. a), e b), 8-bis e 9, D.P.R. 633/1972, delle cessioni intracomunitarie, registrate per l’anno solare precedente ai sensi dell’art. 23, D.P.R. 633/1972. In altri termini, l’art. 26, D.P.R. 633/1972 opera su un piano diverso, poiché i presupposti di fatto del diritto all’emissione della nota di variazione attengono a circostanze sopravvenute all’operazione, che sono quelle tipicamente previste dalla norma (Cass. 15059/2014): l’effettività della cessione del bene o della prestazione del servizio non è, pertanto, da intendere come originariamente mancante, ma soltanto venuta meno nei limiti dei casi previsti dalla normativa. La giurisprudenza di legittimità ritiene, pertanto, che – in presenza delle condizioni di cui all’art. 26, D.P.R. 633/1972 – può essere detratta l’Iva corrispondente alla nota di variazione, senza intaccare il plafond generatosi nell’anno precedente: non è, quindi, condivisa la contraria tesi sostenuta dall’Agenzia delle Entrate, anche sulla base di alcuni principi contenuti in documenti di prassi dalla stessa indicati. La C.M. 145/E/1998 precisa, infatti, che l’art. 2, co. 2, Legge 28/1997 ha introdotto un nuovo momento costitutivo del plafond, non più legato alle operazioni effettuate, ma a quelle registrate: la C.M. 8/D/2003 chiarisce che la nota di variazione emessa nell’anno successivo, rispetto a quello di perfezionamento dell’operazione rettificata, non comporta la riduzione del plafond disponibile per l’anno di emissione del documento rettificativo, senza, però, precisare cosa accada rispetto al plafond dell’anno in cui è stata registrata l’operazione originaria.

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