le società tra professionisti

Nelle società tra professionisti (Stp) il numero dei soci deve essere almeno per due terzi composto da soci professionisti, così come le quote di partecipazione al capitale sociale dei soci in questione deve raggiungere almeno i due terzi del capitale sociale. E’ quanto emerge dalla lettura della Nota del Consiglio Nazionale dei dottori commercialisti ed esperti contabili (Pronto Ordini n. 319/2017, che conferma quanto già sostenuto dalla precedente nota n. 150/2014), che sposa una lettura rigorosa dei requisiti previsti dall’articolo 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/2011.
E’ bene in primo luogo ricordare che le società tra professionisti (Stp) possono costituirsi secondo uno dei modelli previsti dal Codice Civile per le società commerciali, anche se svolgono attività rientranti in differenti ordinamenti professionali. L’art. 10 della Legge n. 183/2011 (Legge di stabilità per l’anno 2012), rubricato “Riforma degli ordini professionali e società tra professionisti”, consente la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali, utilizzando i modelli societari già previsti dal Codice Civile, comprese le società cooperative, per le quali tuttavia è richiesto un numero minimo di tre soci.
Successivamente, è intervenuto il dm n. 34/2013 (attuativo della legge 138/2011), composto di 12 articoli, il cui art. 1 (“Definizioni”) stabilisce alcuni principi generali, ed in particolare dispone che:
• la “società tra professionisti” è la società costituita utilizzando uno dei modelli tradizionali previsti dal Codice Civile, avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia previsto l’obbligo di iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico;
• la “società multidisciplinare” è la società tra professionisti costituita per l’esercizio di più attività professionali.
Sulla tipologia di società, l’Istituto di Ricerca in passato (circolare n. 32) ebbe modo di osservare che il richiamo generico al titolo V del libro V del Codice Civile, consente di costituire una Stp anche utilizzando il modello della società a responsabilità limitata semplificata, di cui all’art. 2463-bis c.c., sia pure con i necessari adattamenti richiesti dalla disciplina in commento. Al contrario, secondo l’Istituto non sembra pacifica la possibilità di costituire Stp unipersonali (ovviamente nel “modello” srl o spa), poiché la Legge n. 138/2011, pur richiamando i modelli societari “tipici”, dispone l’obbligo di esercitare l’attività esclusivamente da parte dei soci, ed impone altresì che nella denominazione sociale sia riportato che si tratti di società tra professionisti. Sul punto, poiché il richiamo ai modelli societari di cui ai titoli V e VI del libro V del Codice Civile non contiene alcuna deroga, la richiesta di esercizio dell’attività da parte dei “soci” dovrebbe intendersi in maniera generica, ma non certo impeditiva che il socio sia unico, purché ovviamente professionista.
In merito alla compagine societaria, l’articolo 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/2011, stabilisce che “in ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci”. Dalla lettura della norma non emerge in modo chiaro se i due parametri indicati (numero dei soci e partecipazione al capitale sociale) debbano intendersi soddisfatti entrambi nel senso che sia il numero dei soci sia la partecipazione al capitale debba essere riferita ai soci professionisti per almeno due terzi, ovvero se sia sufficiente il verificarsi di almeno uno dei due. Sul punto, la Nota del Consiglio Nazionale sposa una tesi restrittiva e prudenziale secondo cui la società tra professionisti deve soddisfare entrambi i requisiti: il numero dei soci professionisti, computato per teste, deve essere almeno pari ai due terzi dei soci che compongono la società, e le quote di partecipazione al capitale sociale devono essere detenute per almeno due terzi in capo ai soci professionisti. Di diverso tenore si esprime la Massima Q.A.19 dei notai del Triveneto secondo cui ciò che rileva è la circostanza che in relazione al metodo adottato per le decisioni dei soci (per teste, per partecipazione agli utili o per partecipazione al capitale), ai soci professionisti spetti la maggioranza dei due terzi dei voti esercitabili. Secondo i notai, infatti, la disposizione sulla composizione qualitativa della compagine sociale di cui all’articolo 10, comma 4, lett. b), della Legge n. 183/2011 ha l’obiettivo di garantire ai soci professionisti i due terzi dei voti esercitabili e non anche una maggioranza di mera partecipazione slegata dai diritti di voto. In altre parole, l’interpretazione notarile appare più di “sostanza”, nel senso che ciò che rileva è che le decisioni dei soci siano ad appannaggio dei soci professionisti (per almeno due terzi), a prescindere dalla composizione per teste della compagine sociale.

Società tra avvocati nel reddito d’impresa

Le Società tra professionisti producono reddito d’impresa, con conseguente applicazione del principio di competenza e non quello di cassa. E’ quanto emerge indirettamente dalla lettura della recente risoluzione 7 maggio 2018, n. 35/E, in cui l’Agenzia delle Entrate ha risposto ad un’istanza di interpello formulata al fine di conoscere la natura del reddito prodotto dalle società tra avvocati (Sta) costituite ai sensi dell’articolo 4-bis della Legge n. 247/2012. Il documento di prassi in questione ribalta quanto in passato aveva affermato l’Agenzia (risoluzione n. 118/E/2003 secondo la quale i redditi prodotti dalle Sta rientravano tra quelli di lavoro autonomo), tenendo conto che l’articolo 4-bis della citata Legge n. 247/2012 (introdotto dall’articolo 1, comma 141, della legge n. 124/2017) disciplina l’esercizio della professione forense in forma societaria. Secondo tale disposizione, l’esercizio della professione forense è consentita in forma di società di persone, di società di capitali o di società cooperativa, con iscrizione in apposita sezione dell’albo tenuto dall’ordine territoriale in cui ha sede la società. Devono inoltre sussistere le seguenti condizioni:

  • i due terzi del capitale sociale e dei diritti di voto deve appartenere a soci avvocati iscritti all’albo, ovvero ad avvocati iscritti all’albo e professionisti iscritti in altri albi di altre professioni (società miste);
  • la maggioranza dei membri dell’organo di gestione deve essere composta da soci avvocati;
  • i componenti dell’organo di gestione non possono essere estranei alla compagine sociale;
  • i soci professionisti possono rivestire la carica di amministratori.

L’Agenzia delle Entrate, nella risoluzione n. 35/E, parte dall’assunto che le società tra avvocati sono costituite secondo i modelli societari tradizionali previsti dai titoli V e VI del codice civile, non costituendo quindi un modello autonomo rispetto a quelli già previsti. Pertanto, trattandosi si società commerciali a tutti gli effetti, l’attività posta in essere dalle Sta è un’attività d’impresa. Tale aspetto era già stato oggetto di conferma da parte della Direzione del Dipartimento delle Finanze con la nota del 19 dicembre 2017 (n. 43619), secondo cui tali società in mancanza di deroghe espresse nella disposizione devono essere valorizzate secondo l’elemento soggettivo (modello societario) e non per quello oggettivo dello svolgimento della professione legale. Come anticipato, in passato le società tra avvocati era disciplinate dal D.Lgs. n. 96/2001, in cui si individuava un nuovo modello societario con regole tutte proprie in tema di oggetto dell’attività, obblighi di registrazione, regime di responsabilità e rapporti con i clienti. Ciò aveva portato l’Amministrazione Finanziaria a qualificare commerciali tali società ai soli fini civilistici, mentre ai fini fiscali la risoluzione n. 118/E/2003 occorreva avere riguardo all’attività professionale svolta. A differenti conclusioni perviene l’Agenzia delle Entrate in relazione alle “nuove” società tra avvocati di cui all’articolo 4-bis della Legge n. 247/2012, per le quali a prescindere dal modello societario prescelto (società di persone, società di capitali o società cooperative) si rendono applicabili le disposizioni di cui agli artt. 6, ultimo comma, e 81 del TUIR, per effetto delle quali il reddito complessivo delle società commerciali è considerato in ogni caso reddito d’impresa. L’Agenzia conclude pertanto che le società tra avvocati (nel caso di specie si tratta di una società per azioni) applica il regime fiscale delle società di capitali, con conseguente assoggettamento ad Ires del reddito e ad Irap del valore della produzione.

 

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