Ricavi del contratto di appalto con cessione in pagamento

Gentile Cliente,

con riferimento al Suo quesito riguardante gli effetti contabili e di bilancio della concessione in appalto della costruzione di alcune unità abitative, il cui corrispettivo è stato corrisposto già al momento dell’atto notarile, mediante l’adempimento di un terzo (prevalentemente tramite cessione di terreni), siamo a relazionarLe quanto segue.

La disciplina civilistica non pone particolari vincoli, in quanto l’art. 2426, n. 11), c.c. consente di derogare al criterio generale del costo, adottando quello dei “corrispettivi maturati con ragionevole certezza”.

La corretta condotta amministrativa, applicabile alla fattispecie in oggetto, può, invece, essere desunta dai principi contabili nazionali, e precisamente dall’Oic 23, che affronta espressamente il caso del pagamento anticipato del corrispettivo, o di una parte dello stesso:

alla voce D)6) “Acconti” dello stato patrimoniale passivo, devono essere iscritti gli anticipi ricevuti dai committenti per lavori da eseguire (oltre agli acconti percepiti in corso d’opera, a fronte dei lavori eseguiti non ancora liquidati, da indicare separatamente soltanto nella nota integrativa al bilancio d’esercizio);
alla voce A)1) “Ricavi delle vendite e delle prestazioni” del conto economico, devono essere imputati i corrispettivi di commessa, intendendosi per tali quelli liquidati a titolo definitivo e, quindi, non classificabili – a differenza di quelli provvisori di cui al punto precedente – come “acconti”;
gli impegni contrattualmente assunti per opere e servizi non ancora eseguiti sono iscritti tra i conti d’ordine, essendo comunque sufficiente l’indicazione di tali obbligazioni nella sola nota integrativa al bilancio d’esercizio.
Nel caso di specie, si rileva che la stipulazione del contratto di appalto ha comportato, all’atto dello stesso, l’immediata estinzione – per effetto dell’adempimento di un terzo, accettato dal prestatore (art. 1180 c.c.) – dell’obbligazione pecuniaria dei committenti. Diversamente, al momento della sottoscrizione del contratto nessun incombente risultava ancora assolto dal prestatore, in quanto subordinato alla stipulazione dell’atto di appalto: conseguentemente, quanto ricevuto dal prestatore rappresenta un mero anticipo “per lavori ad eseguire”, pari all’intero corrispettivo pattuito, che verrà, poi, liquidato definitivamente soltanto in corso d’opera. La circostanza che tale anticipo sia costituito prevalentemente da terreni pone, tuttavia, delle perplessità, in quanto suscettibile di snaturare la ratio dell’anticipo, ovvero consentire al prestatore di acquisire le necessarie risorse finanziarie per l’avvio dei lavori, almeno sino alla liquidazione del primo stato di avanzamento dei lavori: in altri termini, si potrebbe eccepire – con riferimento all’importo ascrivibile al terreno – il conseguimento di un ricavo, e non di un mero anticipo: ciò non consentirebbe, però, di ossequiare ad uno dei principi contabili fondanti, ovvero quello della correlazione tra costi e ricavi, impendendo, conseguentemente una corretta osservanza del principio di competenza. In altri termini, si produrrebbe una sorta di retrodatazione del criterio della commessa completata, ovvero l’anticipazione di tutto il corrispettivo alla data di stipulazione del contratto: con l’effetto che i costi sostenuti negli esercizi successivi, in dipendenza del medesimo atto di appalto, non avrebbero alcun componente positivo con cui correlarsi, contrastando, peraltro, con il quadro delle fedele rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell’impresa. In senso conforme, si riscontrano diversi passaggi del principio contabile Oic 23:

l’aspetto peculiare da considerare nella rilevazione contabile delle commesse a lungo termine è rappresentato dalla circostanza che generalmente non si esauriscono in un esercizio, e le loro manifestazioni numerarie si verificano, per lo più, in periodi amministrativi diversi da quelli in cui vengono eseguite le opere. In tale situazione, “il rispetto del principio di competenza deve essere ottenuto attraverso un procedimento di rilevazione dei costi e dei ricavi di commessa che consenta la loro attribuzione nell’esercizio cui sono effettivamente riferibili, ossia nell’esercizio in cui si svolge l’attività di commessa” (paragrafo B.I.);
i ricavi di commessa, così come i costi ed il corrispondente margine, vengono riconosciuti, preferibilmente, “in funzione dell’avanzamento dell’attività produttiva e quindi attribuiti agli esercizi in cui tale attività si esplica” (c.d. criterio della percentuale di completamento, paragrafo C.I.), oppure solo quando il contratto è completato, ovvero le opere sono ultimate e consegnate (c.d. criterio della commessa completata, paragrafo C.II.);
il criterio della percentuale di completamento è l’unico che permette di raggiungere, in modo corretto, l’obiettivo della contabilizzazione per competenza delle commesse a lungo termine, che è quello di riconoscere l’utile dell’opera con l’avanzamento dei lavori. Tale metodologia si basa, infatti, sull’assunto che “i ricavi ed i costi maturano e vanno iscritti man mano che il lavoro procede, assicurando così la corretta contrapposizione tra costi e ricavi. Il criterio della percentuale di completamento è, pertanto, quello che consente la corretta rappresentazione in bilancio dei risultati dell’attività dell’impresa in ciascun esercizio. Va quindi adottato in tutti i casi in cui la sua applicazione sia tecnicamente possibile” (paragrafo C.III.). Qualora non venga applicato tale criterio, è necessario – in virtù dei conseguenti effetti distorsivi di cui sopra – indicare nella nota integrativa al bilancio d’esercizio, in modo chiaro ed illeggibile, i ricavi, i costi e gli effetti sul risultato dell’esercizio e sul patrimonio netto che si sarebbero prodotti se la società avesse adottato il criterio della percentuale di completamento: i predetti dati integrativi sono, infatti, ritenuti di importanza tale, nel contesto del bilancio delle imprese con commesse a lungo termine, “che la loro omissione costituisce deviazione rilevante dei corretti principi contabili e che, di detta informativa, è richiesto un esplicito richiamo da parte degli organi di controllo del bilancio delle imprese (sindaci, società di revisione, ecc.) nelle proprie relazioni”;
i ricavi delle vendite e delle prestazioni riflettono i lavori liquidati nell’esercizio (paragrafo D.I.b.). In altri termini, gli anticipi verranno recuperati attraverso la fatturazione definitiva delle opere, che comporta la rilevazione del ricavo e ed il parziale storno, per il corrispondente importo, dell’anticipo rilevato per effetto della stipulazione del contratto di appalto e della contestuale cessione in pagamento.
Sotto il profilo tributario, si dovrebbe pervenire alle medesime conclusioni, come riscontrabile da alcuni documenti dell’Amministrazione Finanziaria:

l’esecuzione di opere e servizi derivanti da contratti di appalto e simili, aventi durata pluriennale, genera “ricavi, per le opere o le parti di esse realizzate e consegnate al committente, o per le forniture eseguite o i servizi resi che configurino prestazioni ultimate e, comunque, allorché i corrispettivi siano stati liquidati in via definitiva dal committente stesso” (C.M. 22 settembre 1982, n. 36/9/1918);
l’accertamento della soddisfazione della condizione di “liquidazione definitiva dei corrispettivo”, al cui verificarsi è subordinato – a norma dell’art. 93, co. 4, del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 – il riconoscimento fiscale del ricavo, “non può prescindere dalla avvenuta produzione degli effetti giuridici dell’accettazione relativi al passaggio della proprietà o del rischio” (R.M. 27 marzo 2003, n. 75/E). In altre parole, in presenza di una liquidazione provvisoria del corrispettivo, quanto corrisposto dal committente non rappresenta un ricavo per il prestatore, ma soltanto un debito nei confronti del soggetto erogante: il componente positivo rileverà, in contropartita del predetto debito, soltanto nel periodo d’imposta in cui interviene l’accettazione definitiva;
il margine complessivo della commessa viene riconosciuto, e ripartito, nei vari esercizi in cui si esplica l’attività produttiva, in funzione del proprio avanzamento, assicurando la corretta correlazione tra costi e ricavi di competenza, indipendentemente dall’ammontare degli acconti ricevuti dal prestatore (R.M. 31 ottobre 2002, n. 342/E);
i pagamenti eseguiti dal committente a titolo di acconto non concorrono in alcun modo alla formazione del risultato economico dell’esercizio, in quanto rappresentano operazioni finanziarie che determinano semplici rapporti di credito e debito tra le due parti contraenti (R.M. 22 ottobre 2009, n. 260/E);
l’erogazione di anticipazioni finanziarie al momento della stipulazione del contratto e, quindi, in assenza di una parte di opera già realizzata, è caratterizzata dalla mancanza dell’elemento essenziale che contraddistingue il pagamento effettuato a titolo di corrispettivo, ovvero l’accettazione del committente, a seguito della verifica dell’opera compiuta o di una sua parte (R.M. 1° agosto 2002, n. 259/E).
Il suddetto orientamento trova, inoltre, conferma anche in alcuni principi, ormai consolidati, della giurisprudenza di legittimità, secondo cui – ai fini dell’individuazione del momento di imputazione dei ricavi, da parte del prestatore – “l’appalto può considerarsi ultimato solo a partire dal giorno in cui è intervenuta (o si considera intervenuta) l’accettazione del committente, perché è quello il momento in cui si perfeziona il diritto dell’appaltatore al corrispettivo, a norma del citato art. 1655 c.c.” (Cass. 29 marzo 1996, n. 2928): in tale sede, è stato altresì ribadito che la normativa esclude la possibile applicazione dell’alternativo criterio d’imputazione per cassa, ovvero “in ragione del momento in cui è pervenuto nelle casse dell’impresa il numerario corrispondente al ricavo”. In altri termini, è l’accettazione da parte del committente che permette di qualificare il pagamento effettuato da costui, o per proprio conto, come idoneo ad adempiere l’obbligazione principale a suo carico, così come individuata dalla nozione civilistica di contratto di appalto: l’assolvimento di tale incombente costituisce, infatti, il corrispettivo di una prestazione di servizi ultimata, sancita dalla verifica dell’opera e dalla propria accettazione e, quindi, dal prodursi dei predetti effetti giuridici.

I medesimi principi sono, inoltre, desumibili dal documento del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili del 16 novembre 2010, n. 21/IR (“Opere ultrannuali. Adempimento del contratto, trattamento contabile e implicazioni fiscali”):

i ricavi da imputare a conto economico sono rappresentati esclusivamente dai corrispettivi realizzati, la cui liquidazione ha assunto carattere definitivo in ragione della chiusura di una frazione individuata dell’opera, a cui ha fatto seguito l’accettazione del cliente. Conseguentemente, devono essere inclusi nella valutazione delle rimanenze i corrispettivi soltanto maturati alla data del bilancio – e, quindi, al netto della quota iscritti tra i ricavi – in relazione all’attività eseguita, in ossequio ai principi di competenza e correlazione dei costi con i ricavi dell’esercizio: in altri termini, deve essere rispettata l’associazione di causa ed effetto tra tali componenti reddituali, la ripartizione dell’utilità o della funzionalità pluriennale su base razionale e sistematica e l’imputazione diretta di costi al conto economico del periodo amministrativo (principio contabile nazionale Oic 11);
i corrispettivi rilevanti ai fini della valutazione della commessa non corrispondono agli anticipi, in quanto questi ultimi – a differenza dei primi, erogati per prestazioni già eseguite – sono versati dal committente per lavori ancora da eseguire, determinanti soltanto rapporti di debito/credito tra le parti contraenti.
In virtù di quanto sopra riportato, si deve ritenere corretto imputare, nel bilancio dell’esercizio 2011, il corrispettivo ricevuto tra gli acconti, nella voce D)6) dello stato patrimoniale passivo, iscrivendo il terreno come bene-merce, concorrente, quindi, alla formazione delle rimanenze finali di magazzino: per quanto concerne, invece, i conti d’ordine, è sufficiente la loro indicazione in nota integrativa.

Si segnala, infine, il rischio latente di una riqualificazione tributaria dell’operazione, da “contratto di appalto e cessione in pagamento” a “permuta”, in virtù dell’assegnazione, a saldo di gran parte del corrispettivo della commessa, di un terreno diverso da quello sul quale sono costruite le abitazioni oggetto del contratto di appalto. Sul punto, la giurisprudenza di legittimità è, infatti, dell’avviso che – nelle circostanze come quella in esame, ovvero di cessione di un bene esistente (il terreno edificabile) in cambio di una cosa futura (appartamenti da costruire) – è escluso che si tratti di una permuta, configurando, invece, un contratto misto vendita-appalto soltanto se la costruzione degli edifici rappresenta l’oggetto principale della comune volontà delle parti, risultando la cessione dell’area strettamente funzionale alla costruzione dell’edificio (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28479, 5 agosto 1995, n. 8630, e 24 gennaio 1992, n. 811). Diversamente, se ricorre l’ipotesi della permuta – anche qualora sia previsto un conguaglio in denaro, come precisato nelle note alla Cass. 3 aprile 2000, n. 3985 – l’Amministrazione Finanziaria ha comunque riconosciuto il diritto del venditore di contabilizzare i ricavi derivanti dalla cessione alla data in cui si verifica l’effetto traslativo della proprietà, a prescindere dal momento dell’incasso di anticipi od acconti, e rinviare al conto rimanenze finali tutti i costi sostenuti sino a quel momento (R.M. 25 novembre 1998, n. 176/E).

Alla luce delle considerazioni svolte nel presente parere, rimaniamo a disposizione per ogni ulteriore chiarimento ed approfondimento che dovesse necessitare.

Cordiali saluti.

Studio Cerato & Associati

Cassola, 24 marzo 2014

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